Il grano importato dall'estero, con un glutine più tenace e allergenico, sembra indispensabile per i pastifici. Ma gli agricoltori dicono di no, meglio il grano italiano, che da solo però non basta a coprire il fabbisogno. Lo spettro delle aflatossine e delle normative blande
29 Febbraio 2016
Al porto di Bari, gli agricoltori di Coldiretti Puglia e Basilicata hanno bloccato il transito di tir stracolmi di grano duro. Grano proveniente dall’estero e probabilmente contaminato.
“In Italia può essere consumato anche dai bambini ciò che in Canada non va bene neppure per gli animali”. È la denuncia di Coldiretti, che segnala la mancanza di trasparenza sull’etichetta.
Se il grano è avvelenato è molto probabile che lo sarà anche la pasta e i derivati che consumiamo. Il grano duro coltivato in Italia non basta per produrre tutta la pasta che consumiamo e che esportiamo in gran quantità. E così importiamo grano dall’estero, ma con seri problemi sulla qualità.
Gli industriali dei pastifici non ci stanno: “Producendo pasta fatta con solo grano italiano non potremmo esportarne il 58% ed è proprio il grano estero, con un glutine più forte, a migliorare la pasta italiana”.
Cosa vuol dire migliorare? Vuol dire essenzialmente rendere la semola più tenace e quindi più lavorabile, un prodotto finale che non scuoce facilmente, ma che è anche difficilmente digeribile ed è causa continua di infiammazioni intestinali.
Qualche giorno fa al porto di Bari sono arrivate quattro navi provenienti da Regno Unito, Canada e Panama. Proprio nel grano trasportato in quest’ultima, il Corpo Forestale ha rilevato la presenza di aflatossine cancerogene. Non un caso isolato secondo Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia: “La qualità del grano straniero? Se è contaminato, lo sono anche pane e pasta”. Due i principali nodi: il lungo periodo di navigazione che può alterare il prodotto e la mancanza di indicazione sull’etichetta circa l’origine. “Ci preoccupa – spiega Cantele – anche la presenza di Deossinivalenolo (Don o vomitossina)”. Questo perché i parametri europei sui limiti di Don nei cereali utilizzati per l’alimentazione umana sono quasi il doppio rispetto a quelli imposti in Canada. In soldoni, dice Cantele, “in Italia è considerato commestibile ciò che i canadesi non darebbero neppure agli animali”.
Da luglio 2015 a febbraio 2016 al porto di Bari è stato scaricato un milione di tonnellate di grano. “Arriva da Canada, Turchia, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro – spiega il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – e spesso passa da porti inglesi, francesi, da Malta e Gibilterra”. E tutto ciò non accade solo a Bari: navi cariche di grano duro arrivano a Napoli, Ravenna, Palermo e in altre città. Il motivo è semplice. Fino a una decina di anni fa l’Italia produceva 4,5 milioni di grano duro l’anno, ma dopo il drastico calo delle superfici coltivate oggi si copre solo il 60% del fabbisogno. Tutto il resto arriva dall’estero: nel 2015 sono stati importate 2,3 milioni di tonnellate di frumento. “Per questo – dice Coldiretti – vanno controllati i vari passaggi della filiera”, sebbene il grano made in Italy non sia di per sé superiore a quello d’importazione.
Sul fronte imprenditoriale intanto si ergono muri. l’Italmopa (Associazione Industriali Mugnai) definisce “un’irresponsabile strategia di terrorismo mediatico” quella di Coldiretti e ricorda che vengono importati grani ricchi di proteine, che danno alla pasta italiana le caratteristiche per la quale è conosciuta. In primis la tenuta di cottura. Stessa posizione per l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta, che ha persino pubblicato le sue ’10 verità’ sul grano estero. In sintesi: le importazioni non sono una novità e il frumento straniero è sicuro e non viene comprato per risparmiare (anzi spesso costa anche di più), ma serve ad aggiungere stabilità alla qualità del grano italiano. E ancora: “La selezione dei migliori grani dipende da stagione e qualità dei raccolti”. Ne consegue che “un’eventuale contaminazione delle materie prime riguarda sia il grano italiano che quello straniero”.
Ma se per Italmopa “i costanti e severi controlli” di autorità e aziende garantiscono il rispetto delle normative, non tutti la pensano così. Il responsabile della Sicurezza alimentare di Coldiretti, Rolando Manfredini, a ilfattoquotidiano.it ribadisce: “Non siamo contro le importazioni, ma vogliamo garanzie sulle origini del prodotto e maggiori controlli”. E della tutela della salute parla anche il presidente di Confagricoltura Puglia, Donato Rossi: “Tutti i tir, container e silos devono essere controllati”. E non accade. Chi verifica il ciclo della pasta? “Nessuno”, risponde Polignieri di Slow Food, che ha lanciato il primo allarme nel 2010. Per capire se la pasta è di qualità bisogna analizzare alcuni fattori: la presenza di micotossine nel grano duro (estero o italiano), eventuali deterioramenti del prodotto durante i trasporti, i limiti imposti dall’Ue che pare non accorgersi che un italiano medio consuma più pasta di un norvegese.
Le leggi europee purtroppo non aiutano. “Il Regolamento Comunitario 1881/2006 è calibrato su un consumatore medio europeo e non mediterraneo, che storicamente consuma più pasta, pane e cereali”, spiega Polignieri. Su questa base l’Europa ha dettato i valori massimi di alcuni contaminanti nel grano. Si parla di piombo, cadmio, mercurio e micotossine (come aflatossine e Don). Per la maggior parte dei Paesi al mondo, ad esempio, i valori del Don sono allineati tra 750 e 1000 ng/g nei cereali, mentre in Italia il limite è fissato a 1750, come nel nord Europa, dove però si mangia molta meno pasta. “Ma c’è di più – dice Polignieri – Sempre lo stesso regolamento riconosce per pasta e pane una quantità di Don che scende miracolosamente a 750 e 500. Mi domando come sia possibile”. E dato che quel limite scende a 200 ng/g negli alimenti a base di cereali o comunque destinati a lattanti e bambini sotto i 3 anni “bisogna chiarire che al di sotto dei 6 anni non si può mangiare la stessa pasta degli adulti”. Questi i limiti delle norme. Poi c’è un mondo che si muove al di fuori delle regole. “Importiamo cereali a uso zootecnico”, dice Polignieri: non è legale, ma c’è chi lo fa proprio per mancanza di controlli. E, una volta nel silos, il grano è italiano.
Sempre sul fronte della contaminazione, che vi sia una differenza tra un posto e l’altro del mondo ormai è dimostrato. Proprio sulla vomitossina un progetto delle Politiche agricole (Micocer 2006-2008) ha definito la minore incidenza nei grani del Sud, rispetto a quelli del Nord Italia. Questo perché il clima umido e le piogge favoriscono la presenza di micotossine, mentre il grano del Sud viene raccolto a temperature molto alte (tra i 28 e i 48 gradi) che non ne permettono la proliferazione. E in Canada il clima è umido. A ciò bisogna aggiungere gli effetti di lunghi viaggi transoceanici a bordo di navi cargo: scarsa aerazione, umidità ed escursioni termiche. Altra fase, altra rogna: la miscela. “Vorrei ricordare che il regolamento 1881 – spiega Polignieri – vieta di miscelare frumenti in norma con quelli che superano i valori massimi, con lo scopo di stemperarne il carico di tossina”. Vietato ‘il taglio’ insomma. Che pur riducendo i valori, non li rende idonei all’alimentazione dei bambini. A gestire il tutto ci sarebbero cinque multinazionali che controllano il mercato del grano.
“In Italia può essere consumato anche dai bambini ciò che in Canada non va bene neppure per gli animali”. È la denuncia di Coldiretti, che segnala la mancanza di trasparenza sull’etichetta.
Se il grano è avvelenato è molto probabile che lo sarà anche la pasta e i derivati che consumiamo. Il grano duro coltivato in Italia non basta per produrre tutta la pasta che consumiamo e che esportiamo in gran quantità. E così importiamo grano dall’estero, ma con seri problemi sulla qualità.
Gli industriali dei pastifici non ci stanno: “Producendo pasta fatta con solo grano italiano non potremmo esportarne il 58% ed è proprio il grano estero, con un glutine più forte, a migliorare la pasta italiana”.
Cosa vuol dire migliorare? Vuol dire essenzialmente rendere la semola più tenace e quindi più lavorabile, un prodotto finale che non scuoce facilmente, ma che è anche difficilmente digeribile ed è causa continua di infiammazioni intestinali.
Qualche giorno fa al porto di Bari sono arrivate quattro navi provenienti da Regno Unito, Canada e Panama. Proprio nel grano trasportato in quest’ultima, il Corpo Forestale ha rilevato la presenza di aflatossine cancerogene. Non un caso isolato secondo Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia: “La qualità del grano straniero? Se è contaminato, lo sono anche pane e pasta”. Due i principali nodi: il lungo periodo di navigazione che può alterare il prodotto e la mancanza di indicazione sull’etichetta circa l’origine. “Ci preoccupa – spiega Cantele – anche la presenza di Deossinivalenolo (Don o vomitossina)”. Questo perché i parametri europei sui limiti di Don nei cereali utilizzati per l’alimentazione umana sono quasi il doppio rispetto a quelli imposti in Canada. In soldoni, dice Cantele, “in Italia è considerato commestibile ciò che i canadesi non darebbero neppure agli animali”.
Da luglio 2015 a febbraio 2016 al porto di Bari è stato scaricato un milione di tonnellate di grano. “Arriva da Canada, Turchia, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro – spiega il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – e spesso passa da porti inglesi, francesi, da Malta e Gibilterra”. E tutto ciò non accade solo a Bari: navi cariche di grano duro arrivano a Napoli, Ravenna, Palermo e in altre città. Il motivo è semplice. Fino a una decina di anni fa l’Italia produceva 4,5 milioni di grano duro l’anno, ma dopo il drastico calo delle superfici coltivate oggi si copre solo il 60% del fabbisogno. Tutto il resto arriva dall’estero: nel 2015 sono stati importate 2,3 milioni di tonnellate di frumento. “Per questo – dice Coldiretti – vanno controllati i vari passaggi della filiera”, sebbene il grano made in Italy non sia di per sé superiore a quello d’importazione.
Sul fronte imprenditoriale intanto si ergono muri. l’Italmopa (Associazione Industriali Mugnai) definisce “un’irresponsabile strategia di terrorismo mediatico” quella di Coldiretti e ricorda che vengono importati grani ricchi di proteine, che danno alla pasta italiana le caratteristiche per la quale è conosciuta. In primis la tenuta di cottura. Stessa posizione per l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta, che ha persino pubblicato le sue ’10 verità’ sul grano estero. In sintesi: le importazioni non sono una novità e il frumento straniero è sicuro e non viene comprato per risparmiare (anzi spesso costa anche di più), ma serve ad aggiungere stabilità alla qualità del grano italiano. E ancora: “La selezione dei migliori grani dipende da stagione e qualità dei raccolti”. Ne consegue che “un’eventuale contaminazione delle materie prime riguarda sia il grano italiano che quello straniero”.
Ma se per Italmopa “i costanti e severi controlli” di autorità e aziende garantiscono il rispetto delle normative, non tutti la pensano così. Il responsabile della Sicurezza alimentare di Coldiretti, Rolando Manfredini, a ilfattoquotidiano.it ribadisce: “Non siamo contro le importazioni, ma vogliamo garanzie sulle origini del prodotto e maggiori controlli”. E della tutela della salute parla anche il presidente di Confagricoltura Puglia, Donato Rossi: “Tutti i tir, container e silos devono essere controllati”. E non accade. Chi verifica il ciclo della pasta? “Nessuno”, risponde Polignieri di Slow Food, che ha lanciato il primo allarme nel 2010. Per capire se la pasta è di qualità bisogna analizzare alcuni fattori: la presenza di micotossine nel grano duro (estero o italiano), eventuali deterioramenti del prodotto durante i trasporti, i limiti imposti dall’Ue che pare non accorgersi che un italiano medio consuma più pasta di un norvegese.
Le leggi europee purtroppo non aiutano. “Il Regolamento Comunitario 1881/2006 è calibrato su un consumatore medio europeo e non mediterraneo, che storicamente consuma più pasta, pane e cereali”, spiega Polignieri. Su questa base l’Europa ha dettato i valori massimi di alcuni contaminanti nel grano. Si parla di piombo, cadmio, mercurio e micotossine (come aflatossine e Don). Per la maggior parte dei Paesi al mondo, ad esempio, i valori del Don sono allineati tra 750 e 1000 ng/g nei cereali, mentre in Italia il limite è fissato a 1750, come nel nord Europa, dove però si mangia molta meno pasta. “Ma c’è di più – dice Polignieri – Sempre lo stesso regolamento riconosce per pasta e pane una quantità di Don che scende miracolosamente a 750 e 500. Mi domando come sia possibile”. E dato che quel limite scende a 200 ng/g negli alimenti a base di cereali o comunque destinati a lattanti e bambini sotto i 3 anni “bisogna chiarire che al di sotto dei 6 anni non si può mangiare la stessa pasta degli adulti”. Questi i limiti delle norme. Poi c’è un mondo che si muove al di fuori delle regole. “Importiamo cereali a uso zootecnico”, dice Polignieri: non è legale, ma c’è chi lo fa proprio per mancanza di controlli. E, una volta nel silos, il grano è italiano.
Sempre sul fronte della contaminazione, che vi sia una differenza tra un posto e l’altro del mondo ormai è dimostrato. Proprio sulla vomitossina un progetto delle Politiche agricole (Micocer 2006-2008) ha definito la minore incidenza nei grani del Sud, rispetto a quelli del Nord Italia. Questo perché il clima umido e le piogge favoriscono la presenza di micotossine, mentre il grano del Sud viene raccolto a temperature molto alte (tra i 28 e i 48 gradi) che non ne permettono la proliferazione. E in Canada il clima è umido. A ciò bisogna aggiungere gli effetti di lunghi viaggi transoceanici a bordo di navi cargo: scarsa aerazione, umidità ed escursioni termiche. Altra fase, altra rogna: la miscela. “Vorrei ricordare che il regolamento 1881 – spiega Polignieri – vieta di miscelare frumenti in norma con quelli che superano i valori massimi, con lo scopo di stemperarne il carico di tossina”. Vietato ‘il taglio’ insomma. Che pur riducendo i valori, non li rende idonei all’alimentazione dei bambini. A gestire il tutto ci sarebbero cinque multinazionali che controllano il mercato del grano.
di Dario Scacciavento Fonte http://www.terranuova.it/Alimentazione-naturale/La-verita-sul-grano-che-mangiamo
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