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domenica 7 settembre 2014

Come funzionano le difese immunitarie

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Le difese immunitarie ci proteggono dall'aggressione di agenti infettivi, come virus e batteri.
Ci aiutano a riparare le ferite, a rimetterci dai traumi, a prevenire e contrastare i tumori.
In pratica, tenendo sotto controllo e reagendo opportunamente ad attacchi esterni o a malfunzionamenti interni, le difese immunitarie costituiscono contemporaneamente il sistema di sorveglianza e il reparto operativo d'emergenzache, attraverso una serie complicatissima di processi biochimici e cellulari, permettono all'organismo di mantenersi integro e sano.
Gli elementi in gioco nella risposta immunitaria sono tali e tanti che, nonostante decenni di ricerche approfondite, il suo esatto funzionamento resta ancora in gran parte ignoto.
Tuttavia, le migliaia di informazioni acquisite nel tempo hanno permesso di fissare alcuni concetti fondamentali che possono essere sfruttati per proteggerci meglio nella vita di tutti i giorni.


Le basi dell'immunità

Innanzitutto, si sa che il sistema immunitario è dotato di due comparti difensivi, deputati a compiti ben precisi.
Il primo è la cosiddetta immunità innata o immunità aspecifica, che è presente fin dalla nascita e rappresenta lo scudo fondamentale contro alcune infezioni molto comuni. Questo tipo di immunità è inoltre responsabile della risposta infiammatoria che si sviluppa in seguito a ferite, a traumi acuti e cronici o alla presenza di specifiche malattie (ad es., l'artrosi).
La protezione conferita dall'immunità innata si instaura rapidamente, rappresentando di fatto una sorta di sistema d'allarme che segnala l'avvenuta aggressione dell'organismo, ma è poco efficiente e non in grado di adattarsi ai cambiamenti costantemente attuati da virus e batteri per infettarci meglio.
Quindi, in molti casi, questo tipo di immunità non è sufficiente per debellare gli intrusi.

Fortunatamente, quando i microrganismi patogeni riescono ad aggirarla, entra in gioco la seconda linea difensiva, costituta dall'immunità adattativa o immunità specifica, molto più raffinata e in grado di riconoscere tutti i possibili agenti dannosi per l'organismo grazie a meccanismi estremamente complessi che coinvolgono diversi tipi e sottotipi di cellule del sistema immunitario (soprattutto i linfociti T e B e le plasmacellule derivate dai linfociti B dopo opportuna stimolazione), gli anticorpi (prodotti dai linfociti B), nonché un'articolata cascata di composti dalle svariate funzioni, chiamati citochine (che mediano segnali fra linfociti, fagociti e altre cellule del corpo).
Rispetto alla risposta primaria, la risposta secondaria compare più velocemente ed è più efficace.
L'immunità specifica si sviluppa soltanto dopo la nascita, principalmente nel primo anno di vita, continuando a potenziarsi e a diventare più efficace a mano a mano che si incontrano e si impara a contrastare i diversi agenti patogeni presenti nell'ambiente.


Questa linea di difesa può essere potenziata anche in modo "artificiale" e controllato attraverso le vaccinazioni, che rafforzano l'immunità specifica (addestrando il sistema immunitario a riconoscere rapidamente virus e batteri, come se li avessero realmente incontrati, ma senza farci ammalare) o utilizzando immunostimolanti che stimolano in modo non specifico il sistema immunitario.
I fattori che possono influenzarla
L'efficienza delle difese immunitarie non è costante nel corso della vita, ma può andare incontro ad alti e bassi in relazione all'età, alle condizioni fisiche complessive (gravidanza, debilitazione, peso corporeo, ecc.), allo stato nutrizionale, allo stile di vita e al livello di stress psicofisico cui si è esposti.
Rispetto all'età, si può dire che il sistema immunitario, che nell'infanzia è ancora parzialmente inefficiente (per immaturità) e in via di costruzione, arriva a esprimere le sue massime potenzialità protettive dopo la pubertà, mantenendole poi per tutta l'età adulta. A partire dai 50-60 anni, tuttavia, la sua capacità difensiva inizia progressivamente a declinare (deficit immunitario fisiologico dovuto alla senescenza delle cellule immunocompetenti), lasciando gli anziani mediamente più esposti alle malattie e meno in grado di reagire all'attacco di microrganismi patogeni.


Anche nel giovane sano, però, l'immunità può occasionalmente "non funzionare" se non si segue una dieta sana e varia, in grado di assicurare un apporto energetico sufficiente e tutti i micronutrienti essenziali per il buon funzionamento dell'organismo, come vitamine (in particolare quelle antiossidanti come la A, la C e la E e quelle del gruppo B) e sali minerali (soprattutto, lo zinco, caratterizzato da un'azione di potenziamento delle difese immunitarie).
Altrettanto importante è poi garantire all'organismo un riposo adeguato, dormendo regolarmente almeno 7-8 ore per notte, ed evitare stress eccessivi di qualunque tipo (professionale, familiare, sociale, psicologico) notoriamente in grado di interferire con l'efficienza della risposta immune.
Altri elementi che espongono a un maggior rischio di malattie sono il fumo (che riduce soprattutto le difese immunitarie locali di gola e bronchi, facilitando infezioni respiratorie da parte di virus e batteri), il consumo eccessivo di alcolici (che debilita l'organismo in generale) e uno stile di vita complessivamente "disordinato".


L'attività fisica ha invece un impatto ambivalente a seconda di quanto e come viene praticata:


se è eccessiva ed è svolta al freddo (ad es., in inverno all'aperto) può essere svantaggiosa e facilitare diversi malanni stagionali; se è moderata e regolare e praticata in un ambiente consono (piscina o palestra nella stagione fredda), al contrario, aumenta l'efficienza delle difese immunitarie, risultando protettiva.


Un ulteriore fattore negativo è rappresentato dalle terapie antimicrobiche (ad es., antibiotici):
preziosissime per contrastare infezioni specifiche, ma in grado di destabilizzare la microflora intestinale endogena.
In questo caso, per evitare di debilitare ulteriormente l'organismo dopo una prima malattia e aiutarlo a recuperare può essere utile integrare l'alimentazione con preparati multivitaminici e/o assumere probiotici o simbiotici, ossia associazioni di probiotici e prebiotici (che stimolano la crescita e/o l'attività dei probiotici) le quali aiutano a riequilibrare la microflora. Alcuni specifici probiotici si sono anche dimostrati in grado di proteggere da gastroenteriti e altre infezioni frequenti nei bambini nei primi anni di vita.
Per stimolare le difese naturali dell'organismo e aumentare la resistenza alle infezioni respiratorie, è possibile usare vaccini immunostimolanti, come i lisati batterici (sia nei bambini sia negli adulti).


Per finire, la gravidanza:
di per sé non riduce le difese immunitarie della donna, ma rende necessaria un'attenzione particolare nell'evitare (e nel curare presto e bene) ogni possibile malattia infettiva perché l'eventuale febbre associata può disturbare il bambino che si sta sviluppando. Quindi, oltre alla prevenzione e ad accorgimenti pratici, come lavarsi spesso le mani ed evitare luoghi affollati durante la stagione influenzale, durante l'attesa è importante assumere antipiretici (paracetamolo) anche quando l'innalzamento di temperatura è modesto (37,8-38 °C) ed eventualmente interpellare il medico.






Immunologia: risposta TH1-TH2 e infiammazione


Il sistema immunitario riceve continuamente innumerevoli input ai quali risponde in modo sia specifico che aspecifico e sia con reazioni acute che croniche.
Tra le sue reazioni, spiccano però, per frequenza e importanza, le risposte TH1 e TH2 e quella infiammatoria.

RISPOSTA TH1 E TH2
Esistono due tipi di risposta immunitaria linfocitaria:
la risposta TH1 e quella TH2.
La risposta TH1 è orientata in senso citotossico nei confronti di virus e batteri. È sostenuta dall’IFN-y (che attiva la produzione di radicali liberi, NO soprattutto, da parte dei macrofagi e inibisce la risposta TH2) e dall’IL-12 (che stimola le cellule NK a produrre IFN-y).
È una risposta carente nei Paesi industrializzati ove prevale la risposta TH2.
La risposta TH2 è orientata in senso anticorpale ed è tipica delle malattie allergiche. È sostenuta dall’IL-4 (che attiva i linfociti B e la produzione di Ig E), dall’IL-5 (che recluta eosinofili in presenza di parassiti), dall’IL-13 e dall’IL-10 (che è una citochina antinfiammatoria, blocca l’IL-3, l’IL-5, l’IL-12, la produzione di IFN-y e la risposta TH1, ma è proinfiammatoria nei confronti dei processi allergici).
La natura dell’antigene seleziona il tipo di risposta. In ogni caso non tutti i virus inducono una potente risposta TH1.
Il virus dell’influenza e del morbillo, ad esempio, sopprimono la risposta TH1 e vaccinando contro il morbillo i bambini di pochi mesi, con sistema immunitario ancora immaturo, è possibile squilibrarli in senso TH2 con conseguente iperattività allergica.


RISPOSTA INFIAMMATORIA
La risposta infiammatoria si sviluppa in seguito a diversi stimoli, come infezione e danno tessutale. La risposta infiammatoria acuta è rapida, di breve durata e comporta effetti locali e sistemici. La risposta locale è caratterizzata da gonfiore, arrossamento, calore, dolore e perdita funzionale. Inizia quando il danno tessutale ed endoteliale stimola la formazione di mediatori plasmatici che inducono vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare.
Si verifica lo stravaso dei neutrofili e quindi dei monociti. L’attivazione dei macrofagi tessutali comporta la secrezione di IL-1, IL-6 e TNF-a che agiscono localmente e a livello sistemico.
La risposta infiammatoria sistemica è detta risposta di fase acuta. È caratterizzata da febbre, aumentata sintesi di ACTH e corticosteroidi e produzione di proteine di fase acuta da parte del fegato. Molti di questi effetti sono dovuti all’azione combinata di IL-1, IL-6 e TNF-a. Queste citochine agiscono sull’ipotalamo inducendo una reazione febbrile (che inibisce la crescita di numerosi patogeni e potenzia la risposta immunitaria al patogeno), promuovono la sintesi di proteine di fase acuta (proteina C reattiva, amiloide A sierica, fibrinogeno, componenti del complemento e in minor misura a1-antitripsina, a1-glicoproteina acida, a1-antichimotripsina, aptoglobulina e ceruloplasmina).
Nella fase acuta diminuisce la transferrina e l’albumina.
La proteina C reattiva aumenta in corso di infezione, di infiammazione cronica, ma anche in caso di eventi stressanti e malattie come depressione e tumori.
Essa stimola la risposta immunitaria e infiammatoria in quanto attiva il complemento, la fagocitosi e la cascata della coagulazione. In contemporanea, inibisce la migrazione dei neutrofili e induce la produzione dell’antagonista recettoriale dell’IL-1 che è il principale sistema di autocontrollo degli effetti infiammatori dell’IL-1.
La proteina sierica amiloide ha una prevalente azione proinfiammatoria in quanto induce il richiamo e l’adesione all’endotelio vasale delle cellule immunitarie. Le antiproteasi neutralizzano le proteasi rilasciate da neutrofili e macrofagi. La diminuzione della transferrina si associa a una riduzione della sideremia e ad un aumento della ferritina.
Ciò consente di ridurre il ferro, che potrebbe essere utilizzato per la crescita di batteri, e anche limitare la produzione di idrossil radicale in presenza di acqua ossigenata (prodotta dalle cellule immunitarie e dai tessuti infiammati).
La risposta infiammatoria cronica si ha a causa della persistenza dell’antigene e può essere dovuta a infezioni da parte di microrganismi resistenti alla fagocitosi o a varie condizioni patologiche, come in molte malattie autoimmuni in cui gli autoanticorpi attivano continuamente i linfociti T.
La caratteristica dell’infiammazione cronica è l’attivazione dei macrofagi e il rilascio di citochine da essi prodotti.
Queste stimolano la proliferazione di fibroblasti e la produzione di collagene con conseguente reazione di fibrosi e a volte formazione di un granuloma. L’IFN-y (prodotto dai linfociti TH1, dalle cellule NK e dai linfociti TC) e il TNF-a (secreto dai macrofagi) hanno un ruolo centrale nello sviluppo dell’infiammazione cronica.
L’IFN-y attiva i macrofagi ed essi rilasciano enzimi e prodotti intermedi reattivi dell’ossigeno e dell’azoto che danneggiano i tessuti circostanti. Il TNF-a contribuisce al danno tessutale in corso di infiammazione cronica.

di Lucia Gasparini
La dr.ssa Gasparini è autrice del libro "Multidisciplinarietà in Medicina"
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