In una sperimentazione su un piccolo numero di pazienti, la molecola è sembrata in grado di ridurre il declino cognitivo legato alla malattia. Serviranno studi più grandi per valutare se davvero è efficace contro il morbo per cui, ad oggi, non esistono terapie.
Campioni di tessuto cerebrale dallo studio Nun Study of Aging and Alzheimer's Disease, uno studio epidemiologico che dal 1986 cerca di indagare sull'origine del morbo di Alzheimer.|KAREN KASMAUSKI
Quando niente è a disposizione per curare una malattia, anche un risultato minimo basta per suscitare entusiasmi: è appena successo per un farmaco contro il morbo di Alzheimer.
Una nuova molecola nelle fasi iniziali di sperimentazione in uno studio clinico su 166 pazienti sarebbe riuscita a rallentare in maniera significativa il declino cognitivo tipico della malattia. I risultati, presentati la settimana scorsa a una conferenza a Nizza, sono stati ampiamente riportati dai media e hanno fatto impennare le azioni dell’azienda produttrice, la Biogen Idec. Non è sorprendente: un qualunque farmaco efficace contro il morbo di Alzheimer, di cui si calcola soffrano nel mondo oltre trenta milioni di persone, ha le potenzialità per produrre enormi profitti.
I DUBBI SULLE PLACCHE. La molecola, un anticorpo, si chiama aducanumab e il suo effetto sembra sia quello di rallentare la formazione della cosiddetta placca beta-amiloide, il cui accumulo nel cervello sarebbe all’origine del morbo di Alzheimer.
In realtà, c’è da dire che, dopo molti anni in cui la beta-amiloide è stata ritenuta la causa della malattia e dei suoi sintomi, non si è più così certi del suo ruolo esatto. Potrebbe non essere la causa ma solo un effetto a valle di qualche altro meccanismo patologico. Altri farmaci sperimentati in passato e mirati proprio contro la placca non hanno infatti dato alcun risultato. Una delle ipotesi formulate è che in realtà i farmaci che agiscono contro la beta-amiloide debbano essere somministrati non quando la malattia è ormai conclamata (come è avvenuto nei trial sospesi per mancanza di risultati) ma nelle fasi più precoci. È proprio quanto la sperimentazione con la nuova molecola tenta di fare.
TEST DI PROVA. Dopo che alcuni mesi fa erano stati presentati i primi risultati positivi, sono stati resi pubblici i nuovi. I 166 pazienti, tutti affetti da forme iniziali della malattia e con la presenza nel cervello di placche visualizzate con un particolare tecnica diagnostica, sono stati divisi in due gruppi: al primo è stato somministrato un placebo, al secondo il farmaco. Nelle persone sottoposte al trattamento sono stati osservati gli effetti che hanno reso speranzosi gli esperti: il declino cognitivo nel corso di un anno è stato assai meno pronunciato nel corso di un anno (un calo di 0,58 punti per le persone che avevano assunto la dose più alta, e di 0,75 punti per quelli a dose intermedia contro i 3,14 punti per chi aveva preso solo la pillola “finta” misurati con il test normalmente usato per testare le capacità cognitive dei malati). Inoltre, nei pazienti sottoposti a trattamento è stata osservata una riduzione significativa delle placche.
IL PROSSIMO PASSO. In alcuni dei pazienti si è sviluppato come effetto collaterale un accumulo di liquidi nel cervello, che alcuni esperti ritengono non abbia a che vedere con il farmaco, e possa essere comunque gestito, mentre da altri viene giudicato un segnale preoccupante. Il prossimo passo sarà estendere la sperimentazione a un numero più grande di pazienti (centinaia o migliaia) per cercare di capire se davvero il farmaco possa essere efficace, cosa che l’azienda che lo sta sviluppando conta di fare entro la fine di quest’anno.
26 MARZO 2015 | CHIARA PALMERINI
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