Forse nell'ultimo ventennio vi sarà capitato di sentire parlare dell'Agenda 21 dell'ONU, o forse no, ma a prescindere dal fatto che conosciate più o meno a fondo l'argomento, l'Agenda 21 ha già iniziato in questi anni ad occuparsi di voi ed intende farlo in maniera se possibile ancora più invasiva nei decenni a venire, senza che nessuno si sia premurato di domandarvi se siete felici di ricevere tante attenzioni.
A grandi linee il progetto Agenda 21 è una sorta di "programma di azione" attraverso il quale l'ONU si impegna a ridisegnare radicalmente tanto il rapporto dell'uomo con l'ambiente in cui vive, quanto il rapporto dell'uomo con la sua propria esistenza, attraverso una complessa operazione d'ingegneria sociale ad ampio respiro che trovi la propria realizzazione nel corso del nuovo secolo. Il tutto declinato nel segno dello sviluppo (sostenibile) e della globalizzazione, rivisitata per l'occasione attraverso i contorni di una comunità globale tesa verso l'uguaglianza sociale e la prosperità economica. Leggendo l'ampio articolato che compone il progetto, infarcito di buoni propositi e apparentemente finalizzato a migliorare sia lo stato di salute dell'umanità che quello della biosfera, si potrebbe pensare che Agenda 21 possa essere in fondo un qualcosa di positivo, una sorta di "cura" dolorosa ma necessaria, per renderci alla fine tutti più sani e più felici, ma nascoste fra le pieghe di tanto filantropico altruismo continuano a ronzarci nelle orecchie un paio di domande che si ostinano a tormentarci. Con quali mezzi realmente l'ONU intende sostituirsi a Dio nel ridisegnare gli equilibri fra l'umanità e il pianeta? E per quale ragione "l'uomo della strada" pur rappresentando il fulcro dell'intera operazione non è stato interpellato in merito ad una decisione che potrebbe stravolgere la sua vita?
La nascita del progetto
Il programma Agenda 21 nasce ufficialmente durante la conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED) tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992, coagulandosi intorno al dogma dello "sviluppo sostenibile" e facendosi portatore dell'intenzione di coniugare insieme nel ventunesimo secolo le pratiche del modello sviluppista con la necessità di preservare la biosfera dai danni derivanti dall'applicazione del modello stesso.
In realtà il termine "sviluppo sostenibile", come tanti altri ossimori facenti parte della neolingua orwelliana attraverso la quale veniamo imboniti quotidianamente, ha radici ben più antiche essendo in uso già fin dai primi anni settanta, basti pensare a pubblicazioni come il rapporto sui "Limiti dello sviluppo" del 1972, commissionato dal Club di Roma e redatto da un gruppo di studiosi del Massachusetts Institute of Technology, alla conferenza dell'ONU sull'Ambiente Umano del giugno 1972, al documento IUNC 1980 dal titolo Strategia mondiale per la Conservazione, per finire con il rapporto Burdtland del 1987, che prende il nome dall'allora premier norvegese che presiedeva la Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo istituita nel 1983. Proprio all'interno del rapporto Burdtland il concetto di "sviluppo sostenibile" venne contestualizzato nella forma ancora oggi ampiamente condivisa: "lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali".
Agenda 21 si manifesta sostanzialmente come un piano d'azione finalizzato alla pianificazione di un "nuovo" modello di sviluppo, necessario per affrontare le emergenze climatiche, ambientali, sociali ed economiche del terzo millennio e pertanto si basa giocoforza sull'assurto che tali emergenze siano reali e si manifestino tali esattamente nei termini in cui il programma le prende in considerazione. Proprio per questa ragione a fare da corollario ad Agenda 21 si pongono tutta una serie di studi, trattati e rapporti, di carattere scientifico, economico e sociologico che costituiscono l'humus necessario per giustificare l'intera operazione. I documenti più importanti (e anche più controversi) sono costituiti dai rapporti dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) all'interno dei quali si preconizza il riscaldamento globale del pianeta (incremento fra 1,4 e 5,8 gradi nel XXI secolo) e se ne attribuiscono le cause all'attività antropica ed in particolar modo alle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera. Tali rapporti hanno posto le basi per la creazione del Protocollo di Kyoto nel 1997, al quale aderirono 180 nazioni, con l'eccezione degli Stati Uniti e del Pacchetto Clima 20-20-20 approvato dal Parlamento Europeo ed entrato in vigore nel 2009. In sinergia con il piano d'azione Agenda 21, durante il vertice di Rio de Janeiro del 1992 venne creata anche la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che iniziò a riunirsi annualmente a partire dal 1995 a Berlino, nella sessione del 1997 fu la sede in cui venne stipulato il Protocollo di Kyoto, mentre l'ultimo vertice (denominato COP 21) si è tenuto nello scorso mese di dicembre 2015 a Parigi.
Proprio nel corso della conferenza di Parigi, influenzata anche dall'enciclica di Papa Francesco "Laudato si", è stato concordato all'unanimità un patto globale per ridurre le emissioni di gas serra (ritenuti i primi responsabili del riscaldamento globale) denominato "Accordo di Parigi" e destinato a superare quanto precedentemente concordato nel protocollo di Kyoto. Scopo principe dell'accordo sarebbe quello di contenere nel futuro prossimo venturo il presunto aumento della temperatura al di sotto dei 2°, possibilmente senza superare gli 1,5°. Gli impegni presi in questa sede saranno soggetti a revisione ogni 5 anni a partire dal 2023, con l'intenzione di rendere i risultati progressivamente più ambiziosi.
Nel settembre 2002, dieci anni dopo la creazione di Agenda 21 a Johannesburg, l'ONU organizzò il Summit mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (denominato anche Rio+10) all'interno del quale si fece sintesi sui risultati raggiunti fino a quel momento e venne deciso di puntare maggiormente sulla creazione di partenariati, piuttosto che di accordi intergovernativi.
Nel settembre 2002, dieci anni dopo la creazione di Agenda 21 a Johannesburg, l'ONU organizzò il Summit mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (denominato anche Rio+10) all'interno del quale si fece sintesi sui risultati raggiunti fino a quel momento e venne deciso di puntare maggiormente sulla creazione di partenariati, piuttosto che di accordi intergovernativi.
Nel mese di giugno del 2012, sempre a Rio de Janeiro, le Nazioni Unite hanno organizzato la conferenza Rio +20, all'interno della quale sono stati definiti nuovi obiettivi globali per lo Sviluppo sostenibile ed è stato creato un Foro Politico di Alto Livello sullo sviluppo sostenibile, deputato a "monitorare l’attuazione degli impegni globali in tema di sviluppo sostenibile, fornire leadership politica e promuovere l’interfaccia tra scienza e politica".
Struttura e strategia
A supervisionare e controllare l'esecuzione del programma Agenda 21 è stata istituita la Commissione ONU per lo sviluppo sostenibile che è composta da 53 stati membri e si riunisce ogni anno a New York con la presenza dei 53 ministri di turno ed i rappresentanti delle ONG accreditate in qualità di osservatori. A sostituirla nel 2012 è stato istituito il Foro Politico di Alto Livello, ma sostanzialmente l'ambizione di Agenda 21 è quella di coniugare la governance globale con l'azione locale, per mezzo di una contaminazione capillare sul territorio, ottenuta attraverso la cooptazione di tutti quei soggetti che localmente hanno un determinato peso specifico, classificati nell'occasione come "Stakeholders", cioè portatori d'interesse. Si tratta naturalmente degli amministratori locali di ogni livello, ma anche delle onlus ed associazioni che operano in una determinata realtà, del tessuto industriale ed imprenditoriale locale, di tutti coloro che localmente possiedono una qualche autorevolezza. Costoro, a cascata, dovrebbero influenzare ed orientare il pensiero dei cittadini "comuni", coinvolgendoli nella "crociata" per lo sviluppo sostenibile. Per ottenere questo scopo è stato creato il Consiglio internazionale per le iniziative ambientali locali, meglio conosciuto come ICLEI, una sorta di ONG legata a doppio filo all'ONU, il cui compito è quello di portare avanti un'attività di lobby capillare che riesca a cambiare le politiche governative locali concernenti tutti gli aspetti della vita umana. Proprio l'ICLEI organizzò nel maggio 1994 la conferenza di Aalborg durante la quale vide la luce la Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile, conosciuta anche come Carta di Aalborg che meglio definisce in sede europea l'impegno per l'attuazione dell'Agenda 21 a livello locale, con la finalità di costruire un modello di sviluppo urbano sostenibile. L'attività dell'ICLEI è simile per molti versi a quella di un governo parallelo rispetto a quello delle amministrazioni locali, senza la necessità di venire votato dai cittadini e senza alcun obbligo di trasparenza, poiché formalmente non si tratta di un ente pubblico, bensì di una ONG privata.
Gli obiettivi per il nostro futuro
Lo scorso 25 settembre 2015 a New York si è svolto il vertice dell'ONU per l'adozione della nuova Agenda globale di Sviluppo Sostenibile per i prossimi 15 anni. I lavori sono stati inaugurati da un intervento di Papa Francesco, volato a New York per l'occasione ed al summit hanno preso parte oltre 150 leader mondiali. Lo scopo del vertice è stato quello di approvare il documento "Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile" che comprende 17 nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile destinati a superare quelli approvati precedentemente.
Scorrendo l'elenco degli obiettivi dell'Agenda per lo sviluppo sostenibile dell'Onu si ha apparentemente l'impressione di trovarsi di fronte ad una lista di "buone" intenzioni, dispensata per il nostro "bene" e necessaria per lenire le nostre sofferenze.
Scorrendo l'elenco degli obiettivi dell'Agenda per lo sviluppo sostenibile dell'Onu si ha apparentemente l'impressione di trovarsi di fronte ad una lista di "buone" intenzioni, dispensata per il nostro "bene" e necessaria per lenire le nostre sofferenze.
1. Porre fine alla povertà in tutte le sue forme.
2. Azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile.
3. Garantire le condizioni di salute e il benessere per tutti a tutte le età.
4. Offrire un’educazione di qualità, inclusiva e paritaria e promuovere le opportunità di apprendimento durante la vita per tutti.
5. Realizzare l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne.
6. Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e condizioni igieniche per tutti.
7. Assicurare l’accesso all’energia pulita, a buon mercato e sostenibile per tutti.
8. Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti.
9. Costruire infrastrutture resistenti, promuovere l’industrializzazione sostenibile e inclusiva e favorire l’innovazione.
10. Riduzione delle disuguaglianze tra i Paesi
11. Rendere le città e le comunità sicure, inclusive, resistenti e sostenibili.
12. Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili.
13. Fare un’azione urgente per combattere il cambiamento climatico e il suo impatto.
14. Salvaguardare gli oceani, i mari e le risorse marine per un loro sviluppo sostenibile.
15. Proteggere, ristabilire e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, la gestione sostenibile delle foreste, combattere la desertificazione, fermare e rovesciare la degradazione del territorio e arrestare la perdita della biodiversità.
16. Promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia, realizzare istituzioni effettive, responsabili e inclusive a tutti i livelli.
17. Rinforzare i significati dell’attuazione e rivitalizzare le collaborazioni globali per lo sviluppo sostenibile
Occorre però sempre ricordare come le vie dell'inferno siano spesso lastricate di buone intenzioni, per evitare di lasciarsi imbonire dalla facile retorica e dall'esercizio della solidarietà pelosa, tenendo a mente come nella maggior parte dei casi i maggiori "filantropi" coincidano con i soggetti più spietati e pericolosi fra quelli che calcano la scena mondiale. Proprio per questa ragione ponendoci di fronte ad un progetto di questo genere, nelle parole costruito per ottenere un processo partecipativo e democratico che coinvolga i cittadini, le associazioni locali e le imprese private, nel segno del motto "pensare globalmente, agire localmente", così come ribadito nel capitolo 28 del documento Agenda 21, ma nella realtà calato dall'alto, senza che i cittadini abbiano avuto alcuna voce in capitolo, diventa necessario imparare a leggere fra le righe, con sguardo disincantato e una buona dose di sano realismo.
Porre fine alla povertà in tutte le sue forme è senza dubbio un nobile proposito, ma il senso in cui si sta muovendo la "governance mondiale" che sovrintende anche ad Agenda 21 è totalmente antitetico a questo obiettivo. Nei paesi cosiddetti "sviluppati" le fabbriche chiudono, la disoccupazione cresce, le tutele per i lavoratori si assottigliano, l'accesso ad un reddito dignitoso sta diventando un mito inarrivabile per decine e decine di milioni di famiglie, dopo che nel corso di un secolo di modello basato sulla crescita e sullo sviluppo la sopravvivenza dei cittadini è stata legata con filo indissolubile alla disponibilità di denaro. Nei paesi cosiddetti "sottosviluppati" o in quelli "in via di sviluppo" la povertà sta diventando ancora più diffusa e perniciosa, dopo che i mentori dello sviluppo (gli stessi che gestiscono Agenda 21) hanno sradicato qualsiasi pratica di autoproduzione o forma di sussistenza esistesse in precedenza e l'unica alternativa alla povertà sembra consistere nell'emigrazione di massa, che la governance in oggetto oltretutto favorisce.
Per porre fine alla povertà non servono proclami, bisognerebbe in primo luogo smettere di crearla, ma purtroppo sotto al velo delle "buone" intenzioni non è questa la direzione in cui la governance si sta fattivamente muovendo.
Per porre fine alla povertà non servono proclami, bisognerebbe in primo luogo smettere di crearla, ma purtroppo sotto al velo delle "buone" intenzioni non è questa la direzione in cui la governance si sta fattivamente muovendo.
Azzerare la fame nel mondo è un proponimento condivisibile da parte di chiunque, caro perfino ai bimbi delle elementari, ma proprio per questo rischia di trasformarsi nel pretesto "incontestabile", per giustificare tutta una serie di azioni in sè assolutamente ingiustificabili. L'introduzione delle sementi OGM, l'abuso dei pesticidi, il tentativo di modificare e standardizzare le abitudini alimentari delle popolazioni, solo per fare qualche esempio di una vastissima lista di operazioni aberranti che possono venire spacciate come "buone" e "necessarie", anche se non lo sono affatto.
Garantire le condizioni di salute e il benessere per tutti è un obiettivo auspicato da qualunque essere umano, però i mezzi usati per ottenerlo potrebbero essere molto meno condivisibili di quanto non lo sia l'obiettivo stesso ed i risultati ottenuti potrebbero manifestarsi assai differenti dai "buoni propositi" iniziali. Pensiamo ad esempio alle vaccinazioni di massa obbligatorie, al Codex Alimentarius, ai microchip da installare sottocute per scopi medici, per finire con il controllo dell'aumento della popolazione che nell'immaginario di molti "complottisti" sarebbe uno fra i principali obiettivi di Agenda 21. Senza contare il fatto che in buona parte d'Europa (Italia e Grecia in primis) l'austerità imposta dalla BCE e dalla UE (parti integranti della governance mondiale) sta progressivamente smantellando l'accesso del cittadino alla sanità pubblica, in antitesi con gli obiettivi proclamati dall'agenda stessa.
Offrire un'educazione di qualità per tutti è un'aspirazione sicuramente di buon senso, sia pure subordinata alla necessità di non patire la fame ed essere in salute, però il fulcro della questione consiste in cosa s'intenda realmente per qualità. Purtroppo il confine fra istruzione ed indottrinamento è molto sottile, così come lo è quello fra informazione e propaganda.
Realizzare l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne è un altro obiettivo auspicabile, ma suona stonato nelle corde di un modello di sviluppo come quello attuale che quotidianamente crea precarizzazione e disagio sociale, antepone la produttività al diritto alla maternità e compie ogni sforzo per praticare l'eutanasia della famiglia tradizionale.
Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua sarebbe un proponimento che trova tutti d'accordo, ma purtroppo l'élite globale (che sovrintende anche ad Agenda 21) ha trasformato il bene acqua in una merce e si sta muovendo sempre più su scala mondiale verso la privatizzazione delle risorse idriche, perseguendo in realtà l'obiettivo di costruire un monopolio nella gestione dell'acqua, che oltretutto risulta spesso di scarsa qualità, favorendo in questo modo il business delle multinazionali dell'acqua in bottiglia.
Assicurare l’accesso all’energia pulita, a buon mercato e sostenibile per tutti è un processo che potrebbe passare attraverso il potenziamento delle reti di distribuzione intelligenti (smart grid), consentendo una maggiore integrazione con l'autoproduzione energetica ed una più alta flessibilità del sistema di creazione e distribuzione dell'energia. Alcuni sforzi in questo senso sono già stati compiuti, ma se occorre rassegnarsi al fatto che l'energia pulita in effetti non esiste, dal momento che anche le fonti rinnovabili determinano impatti ambientali, sia pure in maniera differente rispetto a quelle fossili, la definizione "a buon mercato" sembra destinata a restare un miraggio inarrivabile, dal momento che sforzi in questo senso non se ne sono mai visti e continuano a non vedersene all'orizzonte.
Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti è probabilmente il punto più delirante fra i 17 proposti (o imposti) dall'ONU. In primo luogo la crescita economica, anche qualora duratura, non è per sua stessa natura sostenibile, né tanto meno inclusiva, dal momento che il PIL (unico indicatore utilizzato per misurarla) conteggia esclusivamente la quantità degli esborsi economici, senza tenere in alcun conto gli impatti ambientali e sociali determinati dalla crescita stessa e senza curarsi assolutamente della distribuzione della ricchezza. In secondo luogo non esiste alcun rapporto diretto fra crescita economica e piena occupazione, basti pensare che in Italia fra il 1960 e il 1998 il PIL è triplicato, mentre al contempo l'occupazione è scesa dal 41,5% al 38,5% della popolazione. Per quanto concerne poi i lavori decorosi, ognuno di noi credo possa constatare sulla propria pelle come lo sviluppo (sostenibile o meno) ne stia praticando progressivamente la completa eutanasia.
Costruire infrastrutture resistenti, promuovere l’industrializzazione sostenibile e inclusiva e favorire l’innovazione si rivela un obiettivo assai enigmatico. Non risulta chiaro a quali infrastrutture "resistenti" il programma faccia riferimento. Molto spesso le grandi opere spacciate come sostenibili, l'alta velocità ferroviaria, le mega dighe e via discorrendo provocano impatti ambientali e sociali devastanti senza offrire un ritorno adeguato in termini economici. L'industrializzazione sostenibile è un altro degli ossimori in voga nella neolingua orwelliana. In un mondo globalizzato dove l'Occidente è in fase di deindustrializzazione e le industrie energivore ed iper-inquinanti si stanno concentrando nei paesi in via di sviluppo, dove le legislazioni hanno maglie più larghe ed è possibile reperire energia a basso costo, la neo industrializzazione sponsorizzata dalla governance mondiale non si manifesta affatto sostenibile, né tanto meno inclusiva. L'innovazione non è un qualcosa di positivo a prescindere dalla sua natura, rappresenta una positività qualora riesca a migliorare l'esistente, ma può anche essere peggiorativa come spesso è accaduto ed accade. Attribuire all'innovazione una valenza positiva senza curarsi della sua natura, solamente sulla base del convincimento che il "nuovo" sia meglio del "vecchio" per una sua valenza intrinseca rappresenta un errore marchiano con il quale stiamo già oggi facendo i conti attraverso le devastazioni imposte dal progresso.
La riduzione delle disuguaglianze fra i paesi potrebbe sembrare di primo acchito l'obiettivo principe della globalizzazione mondialista. Un mondo dove non esistano più le differenze, i cittadini godano tutti degli stessi (pochi) diritti, siano soggetti alle stesse leggi, mangino lo stesso cibo, abbiano gli stessi gusti, le stesse ambizioni, la stessa religione, gli stessi sogni e conducano in sostanza la stessa vita. Una pianificazione su scala globale dell'umanità, da ottenere secondo Agenda 21 attraverso la crescita e lo sviluppo sostenibile. Ci sarebbero senza dubbio molte riflessioni da fare intorno a questo "paradiso" o "inferno" prossimo venturo, ma a monte ne esiste una che le sovrasta tutte. Proprio sulle disuguaglianze di carattere economico fra i vari paesi la governance mondiale che sovrintende ad Agenda 21 ha costruito il caposaldo della propria politica sviluppista, ad iniziare dal programma mondiale di delocalizzazione industriale nei paesi a basso costo della manodopera e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse minerarie ed energetiche dei paesi del "terzo mondo". Mentre le disuguaglianze vengono "valorizzate", monetizzate e coccolate nel presente, se ne propone dunque la riduzione nel prossimo futuro, senza dubbio un cortocircuito logico che legittima seri dubbi sulla bontà di un progetto come quello di Agenda 21.
Rendere le città e le comunità sicure, inclusive, resistenti e sostenibili rientra anch'esso nel novero dei buoni propositi, ma è un'intenzione che trasuda utopia da tutti i pori, visto lo stato in cui versano tutte le grandi città, malsane, insicure, ghettizzanti e caotiche e di quelle che sembrano essere le loro prospettive future, alla luce dell'immigrazione selvaggia e della crescita esponenziale della disoccupazione e della povertà, provocate proprio dall'élite mondialista che governa anche Agenda 21. Forse la sicurezza potrebbe anche venire aumentata, attraverso strumenti di controllo (telecamere, microchip obbligatorio, droni intelligenti) e di repressione, ma non si tratterebbe comunque del luogo dove una persona desidererebbe spendere la propria vita. Nonostante ciò proprio nell'ambito delle città (grandi e piccole) il programma Agenda 21 ha concentrato molti dei propri sforzi.
Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili è un altro dei molti cortocircuiti logici di cui il progetto risulta essere infarcito. Senza dubbio esisterebbero svariati modelli di consumo e produzione meno impattanti e più parchi di quello attuale, basti pensare alla "decrescita felice" proposta da Maurizio Pallante, alla società della decrescita di Serge Latouche, al comunitarismo di Alain De Benoist, ma tutti questi modelli hanno in comune la scelta di ripudiare la crescita economica e lo sviluppo come valori fondanti dell'umanità. Una società che intende perseguire con pervicacia l'obiettivo della crescita economica (come asserito nel punto 8 di Agenda 21) non potrà mai ottenere modelli di consumo e produzione sostenibili, dal momento che la crescita impone per forza di cose un continuo aumento della produzione e dei consumi, mentre la disponibilità delle risorse non può aumentare all'infinito, così come non può aumentare all'infinito la capacità della biosfera di fare fronte alle conseguenze (inquinamento, deforestazione, impermeabilizzazione dei suoli, rifiuti, ecc.) dell'aumento di produzione e consumo.
Fare un’azione urgente per combattere il cambiamento climatico e il suo impatto rappresenta uno dei punti in assoluto più controversi del piano d'azione Agenda 21. In primo luogo perché all'interno della comunità scientifica non esiste un'identità di vedute riguardo ai cambiamenti climatici, al presunto riscaldamento globale, al loro impatto ed alle cause che contribuirebbero ad ingenerarli. I rapporti dell'IPCC che paventavano il riscaldamento del pianeta per cause di origine antropica, prima delle quali l'emissione di anidride carbonica in atmosfera, non sono mai apparsi così cristallini ed attendibili, meno ancora dopo lo scandalo climategate che nel 2009 portò alla luce alcune mail di ricercatori adusi a "truccare" i dati climatici per suffragare le proprie teorie riguardo al riscaldamento globale. L'eccessiva concentrazione di attenzione intorno alle emissioni di CO2 è parsa fin da subito quanto meno singolare e scarsamente supportata da riscontri scientifici oggettivi. È forte la sensazione che lo spettro del riscaldamento globale possa venire usato come "cavallo di Troia" per tutta una serie di tasse, balzelli e misure restrittive, finalizzati ad orientare ed indirizzare l'attività umana globale nella direzione voluta, per ragioni che prescindono profondamente dall'intenzione di evitare i cambiamenti climatici e preservare la biosfera.
Oltretutto sullo sfondo della lotta al riscaldamento globale compaiono anche progetti più o meno ufficiali concernenti il controllo climatico, le scie chimiche ed HAARP, operazioni assai inquietanti, realizzate in segreto e tenute nascoste all'opinione pubblica dai media mainstream.
Oltretutto sullo sfondo della lotta al riscaldamento globale compaiono anche progetti più o meno ufficiali concernenti il controllo climatico, le scie chimiche ed HAARP, operazioni assai inquietanti, realizzate in segreto e tenute nascoste all'opinione pubblica dai media mainstream.
Salvaguardare gli oceani, i mari e le risorse marine è sicuramente necessario, soprattutto alla luce della devastazione portata dalle trivellazioni petrolifere, dalla pesca industriale, dagli scarichi tossici e via discorrendo, ma anche in questo caso è netta la sensazione che le parole si muovano in direzione antitetica rispetto alle azioni reali. Lo stesso discorso vale per l'obiettivo di Proteggere, ristabilire e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri.
Promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile ha molte affinità con il progetto di "esportazione della democrazia" del quale l'ONU si sta facendo portatore da alcuni decenni. Sovvertimento degli stati sovrani non allineati (destinati comunque a scomparire come tutti gli altri), imposizione di un unico modello sociale, politico e culturale. Gli effetti di questa "promozione" si sono già potuti apprezzare, in Iraq, come in Libia, in Afghanistan, nella ex Jugoslavia ed in tutte le zone del mondo dove l'ordine precostituito è stato sostituito con il caos composto da governi fantoccio e bande armate che si spartiscono e disputano fette di territorio. Nulla lascia supporre che la "promozione" prossima ventura sortirà risultati differenti rispetto alla precedente.
Rinforzare i significati dell’attuazione e rivitalizzare le collaborazioni globali per lo sviluppo sostenibile può significare tante cose, come anche nulla. Sostanzialmente si pone l'accento sulla necessità di un partenariato globale di carattere sovranazionale, una sorta di governo mondiale, declinato nel segno dello "sviluppo sostenibile" e destinato a gestire la vita di tutti noi.
Una mano di vernice verde non salverà il mondo, ma i profitti delle multinazionali probabilmente sì
Se provate a verniciare di verde un forno inceneritore, un'acciaieria, una centrale a carbone o un'industria chimica, con tutta probabilità avrete contribuito a salvaguardare l'amenità del paesaggio, ma senza ombra di dubbio i "mostri di verde vestiti" continueranno ad emettere nell'aria la stessa identica quantità di veleni che emettevano prima, incuranti del fatto che voi ora li consideriate sostenibili. Questo accade perché si tratta di impianti altamente inquinanti che per propria stessa natura emettono veleni, a prescindere dal fatto che si cambi loro nome o colore.
Alla stessa stregua il modello sviluppista basato sulla crescita infinita continuerà a manifestarsi come una malattia perniciosa per la biosfera e l'umanità e finirà inesorabilmente per scontrarsi con i limiti di un mondo "finito", a prescindere dal fatto che lo si colori di verde, dichiarando che è diventato "sostenibile".
Agenda 21 è al tempo stesso una grande operazione di marketing ed un pilastro importante a supporto del disegno ordito dall'élite mondialista per costruire il "nuovo mondo" globalizzato.
Alla stessa stregua il modello sviluppista basato sulla crescita infinita continuerà a manifestarsi come una malattia perniciosa per la biosfera e l'umanità e finirà inesorabilmente per scontrarsi con i limiti di un mondo "finito", a prescindere dal fatto che lo si colori di verde, dichiarando che è diventato "sostenibile".
Agenda 21 è al tempo stesso una grande operazione di marketing ed un pilastro importante a supporto del disegno ordito dall'élite mondialista per costruire il "nuovo mondo" globalizzato.
Trovatisi di fronte ad un problema in sè insormontabile quale l'impossibilità di costruire una crescita infinita all'interno di un mondo finito, coloro che gestiscono le sorti di noi tutti hanno pensato bene di cavalcarlo, trasformandolo di fatto in un'opportunità di profitto sul medio e sul lungo termine e nel trampolino ideale per diffondere il convincimento che solamente un "governo mondiale" potrebbe essere in grado di fare fronte alle sfide che ci aspettano.
Agenda 21 è il regno degli ossimori: lo sviluppo sostenibile, la crescita verde, la finanza sostenibile, la mobilità sostenibile, le infrastrutture ecologiche, la chimica verde, l'economia solidale, l'industria pulita, la globalizzazione dal volto umano e via discorrendo. Ma è anche una lista infinita di buone intenzioni (destinate con tutta probabilità a rimanere tali) nel nome delle quali potenzialmente è possibile imporre sacrifici, rinunce, perdite di diritti e stravolgimenti sociali che sarebbero inaccettabili in circostanze normali.
Agenda 21 è il regno degli ossimori: lo sviluppo sostenibile, la crescita verde, la finanza sostenibile, la mobilità sostenibile, le infrastrutture ecologiche, la chimica verde, l'economia solidale, l'industria pulita, la globalizzazione dal volto umano e via discorrendo. Ma è anche una lista infinita di buone intenzioni (destinate con tutta probabilità a rimanere tali) nel nome delle quali potenzialmente è possibile imporre sacrifici, rinunce, perdite di diritti e stravolgimenti sociali che sarebbero inaccettabili in circostanze normali.
La scelta di "agire localmente" coinvolgendo il maggior numero di "stakeholders" all'interno di ogni realtà, spacciata come parte di un processo partecipativo e democratico non mira al coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, bensì semplicemente alla cooptazione di tutti quei soggetti che sono in grado d'influenzare l'opinione pubblica, garantendo a ciascuno di essi il proprio tornaconto.
Nessuno ci ha interpellato o ci interpellerà mai per domandarci se siamo d'accordo con gli obiettivi di Agenda 21 e soprattutto se condividiamo i mezzi che l'ONU ha scelto per tentare di raggiungerli. Spetterà al giornale che leggiamo tutte le mattine sensibilizzarci sull'argomento, a piccole dosi e nella direzione voluta, sarà compito dell'associazione ambientalista di nostra fiducia ragguagliarci in merito al pericolo del riscaldamento globale, sarà il sindaco della nostra città ad applicare nuovi limiti e nuove sanzioni, toccherà ai "vip" di nostro gradimento influenzare i nostri gusti e la nostra sensibilità, sugli schermi della TV o su un palco da concerto, saranno il governo del nostro paese o della nostra regione a promulgare nuove leggi che stravolgeranno profondamente il nostro modo di vivere.
Che la cosa ci piaccia o meno, senza neppure rendercene conto, ci ritroveremo molto presto tutti partecipi di una "battaglia" che non ci appartiene ma ci vedrà protagonisti. Una battaglia condotta nel nome dello sviluppo sostenibile (ossimoro tra gli ossimori) che rischierà di rendere la nostra vita ancora più insostenibile di quanto già non lo sia attualmente, in questo mondo devastato proprio dalla crescita e dallo sviluppo che sostenibile non lo è mai stato e non lo potrà essere mai, comunque lo si dipinga.
Articolo tratto da PuntoZero n. 1, aprile-giugno 2016
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